mercoledì 17 agosto 2011

Erri De Luca: io racconto solo storie


Erri De Luca: io racconto solo storie

“Io racconto solo storie che mi sono capitate o si sono svolte nei miei paraggi, e dunque non ho la fatica dello scrittore che deve inventare: semplicemente d’improvviso mi ricordo, e questo è il tratto comune di tutte le mie storie. Quello che poi le fa diventare ‘tante’ storie è il fatto che sono recidivo e che continuamente questo nodo si scoglie.
Si inizia a scrivere con un proprio ricordo, una propria storia accaduta che improvvisamente torna alla mente. Chi scrive sta di nuovo lì, si trasferisce completamente in quel tempo e con quelle persone intorno.  E allora la nostalgia può trasformarsi in un effetto, ma mentre il tutto sta avvenendo è una specie di festa, anche se si tratta di storie brusche, brutali e che finiscono male. Quando riesci a mettere intorno a te quelle persone di prima è come se dessi alla vita e alle stesse persone, attraverso la scrittura, una seconda possibilità di rincontrarsi: sei una specie di piazza dove i protagonisti di quel momento si incontrano di nuovo.
La mia scrittura nasce sempre da un ricordo, e quindi da una cosa che è accaduta. Ma prima devo aver sempre dimenticato. La mia memoria non è frequentabile, non vi ho accesso diretto come ad un archivio o ad un album di fotografie che posso sfogliare. Sta di là, da un’altra parte. Di tanto in tanto mi concede una reliquia, un rimasuglio di ricordo che io sono contento di prolungare con la scrittura.
I miei testi non so nemmeno se sono racconti, romanzi o novelle: ancora non dire di che roba si tratti. Sono delle storie, sono abbastanza dei fatti miei. Il mio compito di scrittura, dal mio punto di vista, è di scrivere quelle pagine nella maniera migliore che mi è possibile. Quindi avere la responsabilità di qualità nei miei confronti: meglio di così non so fare questa storia. Devo avere tale consapevolezza prima di consegnarla, congedarla, affidarla. E poi il mio compito è quello di tenere compagnia con la mia storia ad un’altra persona, che è lontana e che la sta portando con sé nel suo tempo migliore, o se la porta in treno per difendersi dal suo viaggio quotidiano, oppure se la porta in ospedale, o anche in una cella di prigione, o in viaggio, o in vacanza. Insomma, sta sprecando il suo tempo migliore – quello in cui vuole stare da solo, appartato per farsi raccontare una storia – con me, sta collegando il suo tempo con una storia mia. In qualche occasione ho la possibilità – vedendo le facce delle persone, incontrando, parlando – di sapere chi sono”.
Da un’intervista rilasciata a RaiLibro.it / http://ilmestierediscrivere.wordpress.com

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